Vittorio Imbriani (Napoli, 27 ottobre 1840 – Napoli, 1º gennaio 1886) è stato uno scrittore italiano.
Figlio di un liberale, Paolo Emilio Imbriani, e nipote del poeta risorgimentale Alessandro Poerio, di cui la madre Carlotta Poerio era sorella, seguì fin da bambino (1849) il padre in esilio. Trascorse la sua giovinezza prima a Nizza e poi a Torino, dove la famiglia si stabilì nel 1856. Nel 1858 seguì a Zurigo i corsi su Petrarca e la letteratura cavalleresca tenuti da Francesco de Sanctis, che venerò come un maestro fino alla rottura, per insanabili divergenze politiche e personali (Imbriani «ritenne De Sanctis - a torto - colpevole di un proprio insuccesso amoroso»[1]). Nel 1859 partì volontario per la seconda guerra di indipendenza senza potervi combattere, per l'improvvisa pace separata tra Francia e Austria. Nel 1860 proseguì gli studi a Berlino, dove studiò letteratura e filosofia e approfondì il pensiero di Hegel convertendosi a un assolutismo monarchico reggente uno Stato etico. La sua posizione politica, splendidamente reazionaria, ne fece però un isolato anche nella destra storica in cui pure militò tutta la vita: «L'individuo, secondo me, non esiste, non debbe esistere che per e nello stato; a questo Moloch deve sacrificare tutto, libertà, affetto, opinioni».
Nel 1861 tornò a Napoli, anche per evitare gli strascichi giudiziari di uno dei suoi tanti duelli. Due anni dopo vi ottenne la libera docenza di estetica, pubblicando la prolusione Del valore dell'arte forestiera per gli Italiani. Ebbe inizio in questo periodo, con il grande amico Alfonso Ridola, avvocato e letterato, un'intensa attività giornalistica per varie riviste che proseguì per il resto della sua vita. Nel 1864, come delegato della Loggia massonica "La Libbia d'Oro" di Napoli, fu segretario dell'Assemblea costituente del Grande Oriente d'Italia a Firenze. In quest'occasione votò contro la proposta della Loggia "Azione e Fede" di Pisa d'influire sul governo perché fosse votata al più presto la legge per la soppressione delle corporazioni religiose[2]. Nel 1866 tenne un corso di estetica nell'università di Napoli, che pubblicò in opuscolo col titolo Dell'organismo poetico e della poesia popolare italiana. Nello stesso anno partì volontario garibaldino per la terza guerra di indipendenza e partecipò alla battaglia di Bezzecca, dove fu catturato e inviato in prigionia in Croazia. Mentre era di stanza con la sua brigata a Gallarate conobbe Eleonora Bertini, moglie del nobile Luigi Rosnati, con la quale ebbe una lunga e intensa relazione amorosa e delle cui due figlie fu precettore.
Tornato dopo una prigionia di pochi mesi a Napoli, dove s'era diffusa la falsa notizia della sua morte, non se mosse più tranne soggiorni più o meno lunghi a Firenze (1867- 1870) e Roma (1871). Intraprese da allora una frenetica attività culturale in campo letterario, politico e critico-saggistico, di cui sono testimonianza varie pubblicazioni e l'intensa collaborazione a molte riviste della destra risorgimentale o storica. Nel 1872 fondò con Bertrando Spaventa e Francesco Fiorentino il «Giornale napoletano di filosofia e lettere», d'indirizzo hegeliano. Nel 1876 visse come tragedia nazionale l'ascesa al potere della sinistra risorgimentale tanto da mettere il lutto per l'occasione: «Io non so rassegnarmi alla vergogna ed all'obbrobrio. Io non so rassegnarmi a vivere disprezzando la mia patria, disprezzando il governo che la regge. Questo stato è mille volte peggiore della morte. Io non mi ci posso fare assolutamente in alcun modo. Stupisco, che altri possa serbare intatta la serenità dell'anima, mentre gli viene disonorata e sfasciata la patria: ma non vorrei essere anch'io di quelli»; e intensificò l'attività politica fino a essere eletto consigliere provinciale nel mandamento di Pomigliano d'Arco. Nel 1877 partecipò al concorso per la cattedra di letteratura italiana dell'Università di Napoli, ma venne respinto. Subodorando motivi politici nella bocciatura, fece ricorso al re per cambiare il giudizio della commissione, presieduta da quel Carducci che egli aveva attaccato con veemenza per i trascorsi repubblicani e il recente voltafaccia filomonarchico.
Nel 1878 sposò a Milano Gigia Rosnati, figlia minore dell'ex amante, molto più giovane di lui e a differenza di lui molto religiosa. Nel 1879 nacque il primogenito Paolo Emilio II, che morì due anni dopo nel 1881, anno della nascita della secondogenita Carlotta, anch'essa destinata a una morte precocissima. I guai privati si aggravarono con la malattia contratta nel 1880: una tabe dorsale che lo ridusse progressivamente alla paralisi completa. Ciò non gl'impedì di pubblicare e collaborare a riviste anche negli ultimi anni di vita. Nel 1884 gli venne resa giustizia e assegnata la cattedra di letteratura italiana dell'Università di Napoli, ma per lo stadio troppo avanzato della malattia non poté tenere alcuna lezione. Il primo gennaio del 1886, ridotto a un tronco umano, Vittorio Imbriani morì nella città natale.
A traccia di un'esistenza piuttosto breve, ma fitta di incontri e vicende, restano i Carteggi pubblicati in due volumi: Vittorio Imbriani intimo, lettere familiari e diari inediti e Gli Hegeliani di Napoli e altri corrispondenti letterati ed artisti, a cura di N. Coppola, Roma, Istituto di Storia del Risorgimento, 1963-64.