Virus, parassiti e batteri, possono controllare le azioni dell'organismo ospite agendo a livello cerebrale. In foto, una formica-zombie infestata dal fungo parassita Ophiocordyceps. Foto di Michael Koltzenburg - CC BY-SA 4.0
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Il tema Apocalisse Zombi è diventato estremamente comune grazie a numerosi film e serie TV: esseri morti ma vivi, dotati di una insaziabile fame per la carne umana e capaci di infettare e trasformare in zombi altri esseri viventi.
Realtà o fantasia?
Come spesso accade nel mondo dello spettacolo e nelle leggende, vi è quasi sempre un fondo di verità. Esistono diverse entità biologiche come funghi, batteri e virus che, replicandosi a livello cerebrale e producendo una serie di sostanze chimiche, sono in grado di esercitare una forma di controllo sull'organismo ospite.
Esistono diversi esempi di controllo parassitario nel mondo animale, ma probabilmente il primo ed essere stato studiato è quello causato dal virus della rabbia, un virus a RNA a singolo filamento appartenente alla famiglia dei Rhabdoviridae, la cui malattia era nota già nel 2000 a.C. [1]
La caratteristica principale del virus è quella di essere neurotropo: presenta cioè un elevata affinità per le cellule nervose.[2] Il virus, presente nella saliva degli animali portatori (pipistrelli principalmente), penetra attraverso il morso, graffi o ferite, nel torrente circolatorio e da qui nelle cellule del sistema nervoso periferico. Nelle cellule nervose, il virus si diffonde fino a raggiungere il sistema nervoso centrale dell'ospite: in base alla fase dell'infezione ed all'estensione del danno cerebrale, la sintomatologia avrà diverse sfumature pur mantenendo alcune peculiari caratteristiche.
💡 Sapevi che...?
Il sistema limbico, costituito da diverse aree cerebrali come l'amigdala, l'ippocampo e l'ipotalamo, è deputato all'elaborazione delle emozioni, dell'umore, del comportamento e della coscienza umana. Una recente ricerca su Neuroscience sembra aver scoperto i neuroni deputati alla repressione ed alla genesi della rabbia: questi costituiscono il nucleo premammillare ventrale, situato nell'ippocampo.[4]In figura evidenziato in azzurrino, l'ipotalamo. Fonte dell'immagine.
Nella fase iniziale, la persona affetta da rabbia avrà dei sintomi piuttosto vaghi, come febbre, stanchezza e dolori muscolari. Nella fase avanzata, si scatanea in pieno la sintomatologia della cosiddetta rabbia "furiosa", con turbe psichiche che alterano pesantemente il comportamento del malato. Questo potrà avere confusione, agitazione, insonnia, paralisi (localizzata soprattutto ai muscoli laringei, scatenata dal bere, "idrofobia") fino ad anomalie del comportamento con spiccata aggressività, irascibilità, ipersalivazione, allucinazioni e delirio. Questi ultimi sintomi riescono a spiegare alcuni eventi successi nel passato, in cui uomini deboli ed apparentemente moribondi (sintomi della prima fase della rabbia) si trasformano improvvisamente in esseri aggressivi, fuori controllo, guidati dalla volontà di aggredire la prima persona che capitasse a tiro (ultima fase della rabbia) con qualsiasi mezzo, anche mordendo. Non è un caso che, considerando l'animale portatore (il virus si cresce senza dare sintomi nelle ghiandoli salivari dei pipistrelli) ed il tipo di trasmissione (morso di un pipistrello), alcuni studi abbiano ricondotto a questa patologia l'origine del mito dei vampiri.[3]
Esistono forme di vita più complesse dei virus che riescono a controllare, in maniera limitata, l'organismo ospite, prima di portarlo a morte. Capire come questi organismi siano in grado di alterare a proprio piacimento il comportamento dell'ospite è oggetto di studio da decenni, soprattutto per il gran numero di informazioni che si possono ricavare per poter meglio comprendere anche le meccaniche dei comportamenti umani.
La Paragordius tricuspidatus è un animale parassita appartenente al phylum dei Nematomorpha, caratterizzati da un aspetto vermiforme simile a quello dei Nematodi. In genere lungo qualche centimetro, il Paragordius viene studiato per la capacità di alterare biochimicamente il tessuto cerebrale dell'insetto ospite, portandolo al suicidio per annegamento quando raggiunge lo stadio maturativo per la riproduzione.[5]. L'insetto ospite (generalmente un grillo) ingerisce le uova del Paragordius che dopo un breve lasso di tempo, si schiudono all'interno dello stesso insetto. La larva si accresce fino all'età matura per la riproduzione senza danneggiare l'ospite: a questo punto, per massimizzare la possibilità di trovare un partner (la riproduzione avviene in acqua), il parassita rilascia sostanze nel sistema nervoso centrale dell'ospite che fanno compiere al malcapitato insetto cose bizzarre, come saltare nell'acqua. Una volta in acqua, il parassita esce dal corpo dell'ospite provocandone, nella maggior parte dei casi, la morte, ed inizia a cercare un partner per riprodursi. A causare il comportamento di "fame d'acqua", sono una serie di proteine prodotte dal parassita in grado di regolare la trascrizione genetica dell'insetto ospite. Alcune di queste sono state tipizzate: appartengono alla famiglia Wnt che agisce in maniera diretta sullo sviluppo del sistema nervoso centrale; tuttavia non sono ancora ben chiari i meccanismi che spingono l'insetto infetto a cercare attivamente l'acqua in cui annegarsi.[6]
Il fungo Ophiocordyceps unilateralis ha incuriosito, soprattutto negli ultimi anni, diversi studiosi per la sua capacità di determinare un profondo cambiamento comportamentale nelle formiche. Le formiche operaie entrano in contatto con il fungo in natura; questo penetra all'interno della cuticola (il rivestimento esterno degli insetti) della formica ed inizia a riprodursi all'interno del suo corpo. Quando la colonia fungina è abbastanza grande, prende il controllo del sistema nervoso della formica che inizia a comportarsi in modo anomalo: si allontana dal nido ed inizia ad arrampicarsi sulle piante per raggiungere una determinata posizione, quella più favorevole alla diffusione delle spore fungine. Il parassita infatti riesce a guidare la formica in maniera precisa, sulla faccia inferiore di una foglia, a 25 centimetri di altezza dal suolo, puntando verso nord. A questo punto, la formica morde la foglia in una presa mortale: il fungo riesce a causare il blocco della mandibola della formica paralizzando la muscolatura, in maniera che il corpo, ormai senza vita, non possa più cadere dalla foglia; dal retro del capo spunterà lentamente lo stroma, dal cui stelo si diffonderanno le spore fungine, pronte ad infettare altri insetti.[7] Anche in questo caso, non sono noti i meccanismi molecolari con la quale il parassita controlla i movimenti della formica ospite; le ultime ricerche hanno dimostrato la presenza di diverse tossine prodotte dal fungo a livello cerebrale, senza tuttavia capirne la funzione. Cosa interessante, in alcune colonie le formiche sono in grado di reagire al parassita: quando in una colonia vi è una formica infestata, le altre formiche iniziano a leccarla per rimuovere il parassita prima che penetri nella cuticola; quando ormai è troppo tardi, la formica infestata viene trasportata con la forza lontana alla colonia in modo da evitare l'infestazione dell'intera colonia.
Lo Ophiocordyceps unilateralis è solo uno dei tanti ceppi fungini appartenente alla famiglia dei Cordyceps. Ne sono stati recentemente identificati altri 15, ognuno in grado di infestare diversi insetti che vanno dalle farfalle alle locuste.[8]
Oltre gli scopi riproduttivi, alcuni parassiti utilizzano l'ospite come protezione e riserva nutrizionale per la prole, come nel caso della Ampulex compressa o vespa gioiello, così chiamata a causa della colorazione smeraldina. La vespa utilizza come ospite gli scarafaggi: per prima cosa li punge sulla testa, iniettando del veleno che rende lo scarafaggio totalmente incapace di reagire, pur mantenendo una certa capacità motoria. La vespa quindi stacca una delle due antenne dello scarafaggio e da qui ne beve la linfa. Si pensa che questo possa servire verosimilmente a ridurre la dose di veleno circolante nello scarafaggio (una dose alta lo ucciderebbe subito) o per reintegrare la parte di fluidi persi. Quindi, conduce lo scarafaggio nella tana, utilizzando l'antenna rimanente come una specie di guinzaglio. In questa fase, lo scarafaccio pur conservando la capacità di camminare (d'altronde è grande più del doppio della vespa), non accenna a reagire: praticamente diventa totalmente assoggettato alla volontà della vespa. Una volta nella tana, la vespa depone le uova nell'addome dello scarafaggio, ancora vivo, e lo abbandona al suo destino. Lo scarafaggio presenta i riflessi di fuga e combattimento totalmente aboliti, quindi, pur rimanendo in vita, rimane nella tana in uno stato quasi letargico, in attesa della sua morte.[9]
Dopo qualche giorno, le uova schiudono e la larva inizia a nutrirsi degli organi interni dello scarafaggio lasciando per ultimo quelli fondamentali, in maniera da massimizzare lo stato vitale del suo ospite. Trascorsi una decina di giorni, la larva entra in stadio di pupa e matura in totale endoparassitosi fino a raggiungere la forma evolutiva finale, che fuoriesce dallo scarafaggio di cui ormai rimane solo l'involucro. Il meccanismo con la quale si induce lo stato di "zombie", è stato parzialmente svelato di recente. Lo stato letargico sarebbe determinato dal veleno della vespa, contenente alte dosi di una molecola che agirebbe sui recettori octopaminergici. L'octopamina è in grado di avere un effetto simpatico-mimetico agendo sul sistema adrenergico come sostituto della noradrenalina. Nel caso della vespa, l'azione di questa sostanza innalzerebbe la soglia di attivazione dei motoneuroni dello scarafaggio, che quindi cade in uno stato di completa ipocinesia. Lo scarafaggio conserva a tutti gli effetti la capacità di volare, camminare e combattere, ma non riesce a fuggire perché i motoneuroni non rispondono agli stimoli che normalmente li attiverebbero. Tutti gli esempi citati fino ad ora costituiscono una piccolissima frazione di ciò che si trova in letteratura: è solamente da qualche anno che i ricercatori, grazie anche alle nuove tecniche in campo genetico e molecolare, stanno cercando di capire i meccanismi neuromolecolari dietro i cambi comportamentali indotti da parassitosi cerebrali.
Attualmente non esistono casi eclatanti nell'uomo come quelli descritti per gli insetti. È vero che sia l'infezione da virus della rabbia, così come quella da Toxoplasma Gondii, sono in grado di alterare il comportamento umano: nel primo caso rilasciando gli istinti più aggressivi, nel secondo portando a depressione e addirittura al suicidio.[9] A differenza di ciò che avviene negli insetti però, queste manifestazioni sono già conosciute per essere sintomi di patologie definite, appartenenti per lo più allo spettro dei disturbi psichiatrici. Se in futuro esisteranno o meno dei veri "zombi" umani nessuno può dirlo: considerando come l'evoluzione può cambiare il tropismo di funghi, virus e altri microrganismi, non è da scartare l'ipotesi che un giorno il nostro sistema nervoso possa diventare appetibile per un organismo parassita in grado di influenzare il nostro comportamento.
Comunque, tra mass-media, social ed influencer, possiamo davvero dire di non aver già subito un processo di parassitosi in grado di farci pensare e comportarci in maniera differente da come vorremmo fare?
Scritto da: | @cryptoitaly |
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Laureato in Medicina e Chirurgia, attualmente in formazione specialistica in Chirurgia Generale, ha tantissime passioni che vanno dalla lettura ed alle serie TV a tutto ciò che riguarda il mondo della tecnologia e dell'informatica. Entrato nel mondo di steemit per parlare di criptovalute, si dedica ora per lo più a scrivere post di carattere divulgativo in merito medicina, scienza e ultime scoperte in questi campi. | |
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