BackHome: Orti sociali, il cambiamento delle piccole cose

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Alla periferia est di Napoli, nel quartiere di Ponticelli, tra le strade che conosco alla perfezione e i palazzi scarrupati divenuti ormai punti di riferimento per orientarsi nel territorio, c’è un grande parco, una Villa comunale. Villa De Filippo, in onore della famiglia che ha visto nascere il genio della comicità napoletana. Inaugurata e poi abbandonata per tanti anni, riaperta e messa a nuovo per i cittadini del quartiere, oggi sono andata a farci una passeggiata, munita di cane e papà. Mancavo da tanto. Il colonnato che circonda il parco è di cemento armato grigio e rosso. Un look industriale decadente, di quelle ormai conosciute ai più grazie ai tanti film e serie tv di successo ambientati da queste parti negli ultimi anni. La piazza centrale è circondata di aiuole ordinate , con alberi, piante, fiori. All’ombra gruppetti di signore chiacchierano mentre i cani scorrazzano sul prato. Dei ragazzini giocano a pallone, altri sulle altalene. Il sole è alto e splende, il vento soffia, fresco. Una bella mattina estiva. Ci avventuriamo seguendo il perimetro del porticato di cemento. Lo percorriamo tutto e arriviamo in fondo, a un cancello che si apre su un altro appezzamento di terra, grande, verde, verdissimo. Un mosaico colorato sul portico recita ”orto sociale”. Ai due lati, campi coltivati con le più svariate piante: zucche, zucchine, pomodori, peperoncini, piante aromatiche, melanzane, fiori, lavanda, girasoli. Ogni tanto uno spaventapasseri improvvisato. Su un lato, un gruppo di persone sistema le verdure nelle cassette. Una signora pulisce i fagiolini, un’altra sceglie i fiori di zucca migliori da portarsi a casa. Un signore ferma mio padre. Un amico d’infanzia, si riconoscono. Ci racconta: qualche anno fa, una dottoressa dell’ASL 1 di Napoli, Anna Ascione, nell’ambito di un progetto di riabilitazione dalla tossicodipendenza, pensò di chiedere al comune di Napoli il permesso di utilizzare i terreni inutilizzati della villa comunale, abbandonati e incolti. L’obiettivo era metterli a nuovo e realizzare attività per il percorso riabilitativo dei ragazzi: far nascere qualcosa grazie al proprio lavoro, impegno, dedizione e fatica. Coltivare la terra per recuperare se stessi. Come tutor, dei pensionati del quartiere. Poi, poco a poco, arrivarono le richieste di altri cittadini, abitanti del quartiere, uno di quelli difficili e carichi di problematiche sociali. Oggi, gli orti sociali sono un centinaio su un ettaro di terreno comunale, e raccontano storie. La storia di una possibilità non negata ma accolta che permette a qualcosa di buono di nascere dalla terra, in un quartiere problematico troppo spesso ricordato per fatti di cronaca. Ma anche qui, basta seminare il seme giusto per provare a far nascere il cambiamento.

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[tutte le immagini sono di mia proprietà]

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