VICTOR VICTORIOUS: ATTO PRIMO

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Quando @piumadoro, vincitrice della seconda settimana del neverendingcontest di @spi-storychain, ha proposto il tema della Pirateria, per un racconto ambientato fra ‘600 e ‘800, inizialmente non sapevo bene come impostare il mio contributo. Poi ho iniziato a scrivere e i dettagli che volevo aggiungere alla storia crescevano di giorno in giorno. Perciò, una volta estrapolato il racconto con cui volevo effettivamente partecipare al contest, ho semplicemente continuato.

Questo racconto precede temporalmente la parte di storia da cui ho iniziato a scrivere, ma per godere appieno di quest’ultima forse è meglio iniziare in ogni caso da lì.

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ATTO PRIMO

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Pixabay

Il Capitano Mark O’Malley era un uomo alto, snello e di un certo fascino. Curava sia il proprio aspetto che il proprio abbigliamento, manteneva i folti capelli corvini di media lunghezza, stretti in un codino molto alla moda, ed ogni mattino non permetteva che nessuno lo vedesse se non prima di un’accurata rasatura. Per il suo volto perennemente glabro e la pelle liscia apparentemente impervia al sole, al mare e al trascorrere del tempo, negli anni si era guadagnato il nomignolo di “Dollface”, peraltro da lui non particolarmente apprezzato. Trascurando il fatto che aveva dedicato la sua vita alla pirateria, era noto come un uomo retto, con un preciso codice morale, intransigente con la propria ciurma ma rispettato e di sicuro carisma. Era, altresì, un abile spadaccino, un buon tiratore e un bravo stratega, sapeva leggere e scrivere ed aveva dedicato larga parte della propria istruzione allo studio della cartografia nautica.

Tutte queste qualità, unite a una feroce determinatezza, un non indifferente coraggio e anche qualche sporadico colpo di fortuna, avevano consentito a Mark di emergere presto da quella massa informe, caotica e maleodorante che formava i bassi ranghi di qualsiasi ciurma. Aveva iniziato a imbarcarsi come mozzo a dodici anni, ma a quattordici era già marinaio e a sedici, dopo la cattura della nave in cui era imbarcato, aveva addirittura passato un breve periodo a bordo di una fregata militare. Ma pochi mesi dopo era già riuscito a svignarsela, trovando infine la Victorious, che presto sarebbe diventata tutto il suo mondo, e il vecchio Capitano Roe, che l’aveva preso sotto la sua ala insegnandogli tutto ciò che valeva la pena conoscere. Da un paio d’anni, ormai, la nave era sotto il suo comando.

Insomma, il Capitano O’Malley, a ventitré anni, era ed aveva tutto ciò cui un pirata potesse mai aspirare. Incidentalmente, era anche una donna. Ma a questo cercava di pensare il meno possibile, perché negli anni aveva scoperto quanto fosse importante essere la prima a credere alla propria mistificazione, affinché ci credessero anche tutti gli altri, e fino ad allora aveva funzionato più che egregiamente. Fortunatamente, la natura sembrava esserle complice e le aveva donato un fisico asciutto e slanciato, senza esagerare negli attributi più propriamente femminili. O forse aver iniziato a fasciarsi il petto a dodici anni aveva scoraggiato qualsivoglia velleità di eccessiva crescita.

D’altra parte, quando era fuggita di casa con l’intenzione di diventare un pirata tutto avrebbe potuto immaginare tranne che il profondo maschilismo che animava ogni aspetto della vita di mare sarebbe stato il suo alleato più efficace. Tutti gli uomini, pirati, marinai o militari, che aveva incontrato sulla sua strada erano talmente convinti dell’inferiorità intrinseca e naturale delle donne da essere incapaci anche solo di concepire la possibilità di considerarne una quale loro pari. Perciò ogni suo accorgimento atto a nascondere la sua vera natura, dal guardaroba ricercato e stratificato al viso studiatamente glabro, era stato semplicemente accolto come il capriccio di un uomo di personalità, facilmente oscurato dalle capacità dimostrate sul campo. Non era stato nemmeno troppo difficile iniziare a far circolare il soprannome che studiatamente fingeva di disprezzare, a maggiore sostegno della propria peculiarità. Ufficialmente, infatti, una tale attenzione maniacale per la rasatura risaliva ai suoi primi anni per mare, in cui i compagni di ciurma deridevano il mozzo O’Malley perché apparentemente incapace di produrre una qualsivoglia virile peluria sul volto: il giovane Mark si indispettì a dal punto delle prese in giro che, quando a suo dire la barba iniziò effettivamente a spuntargli, prese a rasarla con cura pur di non dare ai suoi detrattori alcuna soddisfazione.

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Le combat de la frégate française La Canonnière contre le vaisseau anglais Tremendous et le Hindostan, 21 avril 1806 Pierre Julien Gilbert, 1832, olio su tela immagine di pubblico dominio

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Ma a tutto ciò il Capitano, appunto, non pensava. Ciò che attualmente impegnava ogni suo pensiero era l’incombente battaglia navale. Il suo tipo fisico non era mai stato adatto a lavorare sottocoperta ai cannoni e perciò quello era l’ambito in cui, da sempre, aveva meno esperienza. Come fregata, la Victorious aveva una discreta potenza di fuoco e poteva altresì contare su una velocità di manovra decisamente migliore rispetto a navi più grosse ed ingombranti, tutti aspetti che il Capitano intendeva sfruttare al meglio.
Idealmente, il loro scopo avrebbe dovuto essere quello di incapacitare la nave nemica a sufficienza da impedirle di fuggire, pur senza affondarla o rovinare eccessivamente il carico, assicurandosi al contempo di non subire altrettanti danni e mantenendo intatta la capacità di manovra. La Victorious seguiva la Grand Duchess a larga distanza sin dall’ultimo porto e, nottetempo, aveva approfittato del cielo coperto e del mare leggermente mosso per avvicinarsi lentamente, senza attirare l’attenzione della vedetta. Ora l’alba incombeva e si trovavano sufficientemente vicini da esser certi di poter coprire la distanza rimasta prima che la grossa mercantile potesse allontanarsi. Si erano, per di più, posizionati precisamente ad est della preda, in modo che il sorgere del sole abbagliasse chi guardava nella loro direzione, garantendo loro un ulteriore vantaggio.

O’Malley dava ora le spalle alla Grand Duchess, gli occhi puntati all’orizzonte, in attesa che il sole facesse finalmente capolino. Nel momento stesso in cui l’astro comparve, inondando la nave di luce diretta, il Capitano diede l’ordine di avanti tutta, che risuonò limpido nel surreale silenzio. Dopo una notte intera di sotterfugio e attesa, la Victorious reagì con un boato di voci e attività. Le vele di tela rosso sangue furono issate nel più breve tempo possibile e subito si gonfiarono, gravide di vento, spingendo in avanti la fregata. Metà ciurma si precipitò sottocoperta per caricare i cannoni, in attesa di affiancarsi alla mercantile. Il Nostromo Krupp, dotato di spalle che mettevano a dura prova le porte della nave, delle braccia più massicce su cui il Capitano avesse mai posato gli occhi e di mani capaci di afferrare da sole una palla di cannone ciascuna, aveva l’incarico di gestire le operazioni e la sua voce possente rimbombava per tutta la nave mentre abbaiava ordini a destra e a manca. Tra i pirati rimasti sul ponte, la maggior parte era assegnata al governo delle vele, sotto il comando del Primo Ufficiale Morris, per garantire la più efficiente e rapida manovrabilità possibile. Tutti gli altri si preparavano all’attacco cercando di non stare tra i piedi a nessuno, eccettuato il mozzo cui era stato ordinato di rimanere accanto all’albero di maestra, pronto a issare il vessillo pirata un attimo prima dell’attacco. Fino a che non si fossero mostrati per ciò che realmente erano, infatti, il codice cavalleresco dei combattimenti marittimi li favoriva, proibendo al un comandante di un vascello delle dimensioni della Grand Duchess di aprire per primo il fuoco sulla più piccola fregata, una regola che ovviamente poteva ben essere trascurata nell’affrontare una nave pirata.

In questa esplosione di attività, il Capitano si era portato al timone, sostituendosi al giovane Hamish, che si affrettò a raggiungere i compagni alla vela di prua. I movimenti del Capitano erano lenti e misurati e la sua mano sul timone era ferma. La battaglia stava per essere ingaggiata e le manovre che aveva pianificato di compiere avrebbero richiesto la massima concentrazione ed efficienza da parte di tutti, se stesso per primo. Avevano ormai rinunciato alla segretezza ed erano lanciati sulla preda a grande velocità. Giunti infine a distanza di tiro, fu dato l’ordine di issare l’inconfondible Jolly Roger e il giovane mozzo provvide rapido al cambio di bandiera, ma il Comandante avversario aveva nel frattempo già mangiato la foglia e la grossa mercantile dispiegava in quel momento il proprio assetto di difesa.
La coreografia d’attacco era pronta. Non appena le due navi furono affiancate, una prima batteria di cannonate fu lanciata in due battute in rapida successione e la Victorious, che non aveva nel frattempo minimamente ridotto la propria velocità, riuscì a mettere a segno svariati colpi prima ancora che dalla Grand Duchess fosse dato l’ordine di fare fuoco. Quando poi tale ordine fu dato, la nave pirata aveva già quasi superato la mercantile e si disponeva a virare in corrispondenza della prua avversaria, così che gli unici colpi che accusò furono sulla poppa e con conseguenze minimali. La Victorious aveva avvicinato la propria preda sul lato sinistro e, conseguentemente, virava ora seccamente verso dritta, per girarle attorno. Il Capitano assestò il timone, mentre il Primo, al suo fianco, dava gli ordini necessari affinché le vele sfruttassero il vento di taglio per accompagnare con circospezione la manovra, di modo che la nave non fosse indotta ad accusare eccessivamente il brusco cambio di direzione. Nel frattempo, sottocoperta, Krupp sollecitava la pronta ricarica dei cannoni. Consapevole che la virata la costringeva in ogni caso a ridurre la velocità e che, presumibilmente, al secondo passaggio in affiancamento l’equipaggio della mercantile sarebbe stato più rapido nelle contromisure, la Victorious si concesse qualche cannonata in direzione della prua avversaria, poi ricaricò nuovamente e si predispose a un più diretto scambio di ostilità.

Quando le due navi furono di nuovo affiancate, fu subito evidente che sebbene dotati di una minore capacità di fuoco i pirati, per addestramento o equipaggiamento, erano favoriti da una maggiore rapidità di ricarica, sicché riuscirono a mandare a segno sufficienti colpi, in pochi round, da predisporsi a un’ulteriore virata volta a chiudere le distanze e consentire l’arrembaggio. A differenza della Victorious, che alternava l’uso e la ricarica dei cannoni in modo da non far passare che pochi istanti tra un attacco e l’altro, la Grand Duchess aveva per due volte consecutive fatto fuoco con l’intera batteria, perdendo quindi preziosi minuti nella ricarica. Il Capitano aveva calcolato che tra il primo e il secondo fuoco erano trascorsi circa otto minuti, ovvero un tempo più che sufficiente affinché la Victorious si avvicinasse alla distanza necessaria per agganciare la mercantile e procedere all’abbordaggio. L’equipaggio della Grand Duchess non sembrava particolarmente dotato sul fronte militare, il che faceva ben sperare che anche nel corpo a corpo i pirati avrebbero facilmente avuto la meglio.
Il Capitano mandò quindi ordini sottocoperta di puntare tutto il fuoco verso la battagliola degli avversari, per rallentare ulteriormente le loro tempistiche di attacco. Partirono immediatamente sette colpi, di cui tre andarono a segno danneggiando la fiancata del vascello in corrispondenza della linea di fuoco e creando, si sperava, sufficiente scompiglio da impedire un attacco efficace. E in effetti l'attacco successivo della Grand Duchess fu sia di minore portata che di scarsa precisione e non appena i cannoni avversari tuonarono, il Capitano diede ordine di virare nella direzione della preda, avvertendo al contempo coloro che fino ad allora si erano mantenuti vigili ma inattivi di preparare i rampini per l’arrembaggio.

La Grand Duchess era ormai sostanzialmente ferma, avendo subito sufficienti danni agli alberi e alle vele principali da impedirne un agevole governo, ma non sembrava che i danni inferti fossero tanto gravi da procurarne il precoce affondamento. La Victorious, invece, sembrava aver retto assai meglio lo scontro, ma prima di tirare definitivamente le somme il Capitano avrebbe atteso il rapporto di Wolf, il Secondo Ufficiale, responsabile degli approvvigionamenti e specializzato nel risolvere problemi. Dall’ultima cannonata della mercantile erano passati già quattro minuti, la metà del tempo che fino ad ora i nemico avevano impiegato per ricaricare i cannoni. La Victorious era ormai praticamente sottobordo al vascello e il Capitano si concesse un minuto in più, dando ordine di attendere che le due navi fossero parallele prima di portare la battaglia sul ponte avversario.
Ci volle, in effetti, almeno un minuto e mezzo, ma secondo i calcoli avevano ancora una finestra di tempo più che sufficiente per agire indisturbati. Con ogni probabilità, non appena i pirati avessero iniziato ad assaltare fisicamente la mercantile, i membri dell’equipaggio abili al combattimento si sarebbero radunati sul ponte ingaggiando i nemici corpo a corpo, lasciando sguarniti i cannoni. Non volendo correre eccessivi rischi, peraltro, il Capitano diede ordine che una manciata di uomini rimanesse in battagliola a cannoni carichi, pronti a fare ancora fuoco in caso si rendesse necessario per difendere la nave. Ad altri ancora furono date disposizioni, una volta iniziato l'arrembaggio, di abbordare la nave attraverso lo squarcio precedentemente aperto dalle cannonate e disfarsi di chiunque fosse rimasto sottocoperta.

Tutto era pronto, ciascuno aveva i propri ordini e la ciurma, già galvanizzata dall’ottimo risultato ottenuto nella prima fase della battaglia, sembrava in procinto di esplodere. Il Capitano abbandonò il timone per mischiarsi ai suoi uomini, pronto a guidarli all’attacco dalla prima fila. Le navi erano affiancate e i rampini pronti al lancio. Dalla Grand Duchess arrivavano urla e schiamazzi confusi e, per i pirati, estremamente incoraggianti. Erano passati ormai sette minuti dagli ultimi colpi di cannone. Tempo di agire.

Il Capitano si avvicinò al parapetto e fece un respiro profondo.


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When I'm good, I'm really good. But when I'm bad, I'm better.
Mae West

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