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ITA
Giorno sessantacinque.
Oh Jeff, sono grato al Signore che ti abbiano avvertito in tempo, giusto prima che mi operassero. Vederti lì, così vicino a me da poterti toccare, mi ha riempito di un’immensa gioia. Se non fosse stato per l’anestetico sarei scoppiato in lacrime tale la portata dei sentimenti che sono affiorati tutti insieme appena ho posato lo sguardo sul tuo angelico volto. D’altro canto sono adirato perché non ti hanno permesso d’entrare nella sala una volta che m’ero svegliato, ma mi hanno riferito che hai vegliato su di me per tutto il lasso di tempo nel quale sono stato incosciente. Ti posso giurare che, anche se non me l’avessero detto, io riuscivo a vedere al tua sagoma nell’ombra, come quando vedi una persona ad occhi molto socchiusi, potrei definirla la situazione più vicina ad un’esperienza extra corporea. In ogni caso ora sto molto meglio. Chi l’avrebbe mai potuto immaginare che quel dolore all’addome che ho avvertito qualche giorno fa sarebbe evoluto in un’appendicite. La mia fortuna è che non ho ignorato il dolore ritenendolo una condizione poco grave, non più di un comune mal di pancia.
Mi ero svegliato quella mattina con il dolore che si era intensificato, ma dopo essere andato di corpo sembrava essere diminuito, al che non gli ho dato più peso fino all’ora del rancio. In mensa, dopo aver assaporato quel disgusto e insipido pasto, preparato con tanto odio e disprezzo, ho iniziato a piegarmi in due dalla sofferenza. Invece che dirigermi nuovamente alla latrina nella mia cella, sono andato direttamente in infermeria, guidato dalla mano del Signore forse. Se fossi tornato in cella, avrei rischiato di svenire per lo sforzo e, Dio non voglia, avrei potuto rimettere la mia anima. Al contrario Egli mi ha dimostrato la sua benevolenza, offrendomi il suo perdono. Di volata mi sono diretto all’infermeria, dove l’infermiera mi ha accolto chiedendomi quale male mi affliggesse. Non ho fatto in tempo a proferire con quella povera donna che le sono crollato addosso. Sono rimasto svenuto per tutto il viaggio in ambulanza, anche se al ritorno ho notato quanto sia distante l’ospedale più vicino al penitenziario. Per questo dico che tornare in cella potrebbe essermi stato fatale.
Arrivato in ospedale gli scossoni della barella mi hanno svegliato, e in quel momento hanno iniziato a farmi le solite domande di prassi. Io, mezzo stordito, ho cercato di rispondere il più chiaramente possibile. Le mie lacune sono state ricolmate dalle guardie carcerarie che mi hanno scortato. Giunto nella mia stanza ti ho visto là, che conversavi con ogni persona potesse essere entrata in contatto con me, alla ricerca di ogni misera informazione che riguardasse il mio stato di salute. In quel preciso momento, mentre tu ti agitavi intensamente preoccupandoti per me, in quell’esatto istante ho ricordato il reale motivo per cui ti amo. Io non ti amo per il tuo viso angelico o il tuo corpo scultoreo, non ti amo per la allegria e spensieratezza, non ti amo perché sei esilarante, non ti amo perché sei intelligente, seducente e passionale. Ti amo perché nonostante ogni cosa accada, nonostante ogni piaga si abbatta su di noi, nonostante qualsiasi ostacolo troviamo sulla nostra strada, tu sei lì a proteggermi, sei lì quando io ne ho più bisogno. Come quel giorno in montagna che nella tua premura mi hai stretto tra le tue braccia per proteggermi dal freddo, come quando mi hanno comunicato la deprimente notizia della mia incarcerazione che sei rimasto lì al mio fianco ad infondermi coraggio, come l’altro ieri che eri lì in ospedale a dibatterti come un forsennato perché io ricevessi le migliori attenzioni e cure che potessero darmi in quel posto. Io ti amo, Jeff, perché sei il simbolo della mia fede, io nutro la fiducia più cieca in te perché finora sei sempre stato l’ideale che ho di essere umano, sei l’incarnazione dei miei desideri, un uomo pronto a prendersi cura di qualcun altro prima che di se stesso, ed essere quel qualcun altro mi riempie interamente di felicità, tanto che più scrivo queste parole più mi sento di esplodere.
Sono grato al Signore, ma più a te, che l’operazione si sia risolta con successo. D’altronde adesso l’appendicectomia è divenuto un intervento di routine, cinquant’anni fa sarei anche potuto morire. In ogni caso, ti ho promesso che sarei sopravvissuto ad ogni costo per te, ed è quanto intendo fare Jeff. Tornerò a casa da te, ti riabbraccerò ancora una volta e poi, se sarà la volontà del Signore, sarò anche pronto a morire. Forse le mie parole sono un po’ esagerate, ma in questo paio di giorni non ho fatto che dormire e ingoiare pillole, quindi penso di essere un bel po’ stordito al momento.
Sappi che ti amo, mio Jeff, e continuerò a ripetertelo per tutto il resto della nostra vita.
Al più presto, con amore,
ENG
Day sixty five.
Oh Jeff, I am grateful to the Lord that they warned you in time, just before they operated on me. Seeing you there, so close to me that I can touch you, filled me with immense joy. If it had not been for the anesthetic I would have burst into tears such the extent of the feelings that all surfaced together as soon as I laid my gaze on your angelic face. On the other hand, I am angry because they did not allow you to enter the room once I woke up, but they told me that you have watched over me for the entire period of time in which I have been unconscious. I can swear to you that, even if they hadn't told me, I could see your silhouette in the shadows, as when you see a person with very narrowed eyes, I could call it the situation closest to an extra-bodily experience. In any case, I am now much better. Who could have imagined that that pain in the abdomen that I felt a few days ago would have evolved into an appendicitis. My luck is that I have not ignored the pain considering it a minor condition, no more than a common abdominal pain.
I had woken up that morning with the pain that had intensified, but after going out of body it seemed to have diminished, to which I did not give more weight until the hour of rations. In the canteen, after having tasted that disgust and tasteless meal, prepared with so much hatred and contempt, I started to bend over in two from suffering. Instead of heading back to the latrine in my cell, I went directly to the infirmary, guided by the hand of the Lord perhaps. If I had gone back to the cell, I would have risked passing out due to the effort and, God forbid, I could have put my soul back. On the contrary, He showed me his benevolence by offering me his forgiveness. As I sprinted, I headed to the infirmary, where the nurse welcomed me and asked me what ailment was afflicting me. I did not have time to speak with that poor woman who collapsed on her. I was passed out for the whole ambulance trip, although on the way back I noticed how far the hospital closest to the penitentiary is. That's why I say that going back to the cell could have been fatal.
When I got to the hospital, the jolts of the stretcher woke me up, and at that moment they started asking me the usual questions of practice. I, half dazed, tried to answer as clearly as possible. My gaps have been filled by the prison guards who escorted me. When I arrived in my room I saw you there, that you were conversing with every person who might have come into contact with me, looking for any miserable information concerning my state of health. At that precise moment, while you were anxiously worried about me, in that exact moment I remembered the real reason why I love you. I don't love you for your angelic face or your sculptural body, I don't love you for the joy and light-heartedness, I don't love you because you are hilarious, I don't love you because you are intelligent, seductive and passionate. I love you because despite everything happening, despite every plague it hits us, despite any obstacle we find on our way, you are there to protect me, you are there when I need it most. Like that day in the mountains that in your concern you held me in your arms to protect me from the cold, like when they told me the depressing news of my incarceration that you remained there by my side to instill courage, like the day before yesterday that you were there in the hospital to debate you like a madman for me to receive the best attention and care they could give me in that place. I love you, Jeff, because you are the symbol of my faith, I have the most blind trust in you because so far you have always been the ideal I have as a human being, you are the embodiment of my desires, a man ready to take care of someone else before himself, and being that someone else fills me entirely with happiness, so much so that the more I write these words the more I feel like exploding.
I am grateful to the Lord, but more to you, that the operation was successfully resolved. On the other hand, appendectomy has now become a routine operation, fifty years ago I could have even died. Either way, I promised you I'd survive you at all costs, and that's what I intend to do Jeff. I will go home to you, I will embrace you once again and then, if it is the will of the Lord, I will also be ready to die. Maybe my words are a little exaggerated, but in this couple of days I have been sleeping and swallowing pills, so I think I am quite a bit stunned at the moment.
Know that I love you, my Jeff, and will continue to repeat it to you for the rest of our lives.
As soon as possible, with love,